Nerone, Roma e la DOMUS AUREA - Eric M. Moormann (Conferenza, 30)
di
- Anno Edizione:
- 2020
- Collana/Rivista:
- Unione Internazionale degli Istituti di Archeologia Storia e Storia dell Arte in Roma - Conferenze e Annuario
- Casa Editrice:
- Arbor Sapientiae Editore - Roma
- Argomento:
- Archeologia e tutela del patrimonio archeologico - Saggi e Ricerche
- ISBN:
- 978-88-31341-13-4
Descrizione:
Indice:
Prefazione
Introduzione
I: Le fonti
II: Nerone e la città
III: Componenti della Domus Aurea
IV: Il padiglione sul colle Oppio
Architettura
Il marmo come decorazione pavimentale e parietale
Le pitture delle pareti e delle volte
Il processo di lavorazione
Divisione del lavoro: le botteghe
Bottega A
Bottega B
Bottega C
Nerone e le pitture
Le decorazioni postneroniane
Che cosa impariamo da queste pitture?
Il fenomeno delle grottesche
Conclusioni
Tavole
Bibliografia
Bio-Bibliografia di Eric M. Moormann
Nel corso di questo saggio si è posto l’accento soprattutto sulla realizzazione del padiglione della Domus Aurea sul colle Oppio e sul suo arredo decorativo. Questo edificio fa parte di un complesso che comprendeva le molte esigenze di Nerone come dinasta e come erede della cultura ellenistico-romana. La combinazione di componenti diversissime in termini di funzione, forma ed importanza, sottolinea il desiderio dell’imperatore di poter soddisfare tutte le sue esigenze dentro le mura di Roma, sia quelle urbane che quelle extraurbane. Poteva “vivere come un uomo” nel vero senso dell’espressione: qui era il sovrano assoluto, residente in uno dei palazzo imperiali sul Palatino; qui era l’artista che si circondava da opere d’arte e forse anche dava delle presentazioni in una delle cenationes dei suoi palazzi; qui era anche il paesano, cacciatore, pescatore e raccoglitore delle raccolte terrestri, mentre queste opere bene consentivano di approfittare dell’ozio al mare o in campagna.
Il lusso da cui era circondato fin dall’infanzia, e che aveva già avuto modo di trovare nell’ambito delle lussuose ville campane appartenenti ai membri della famiglia, è rimasto un’esigenza durante tutta la sua vita. Uno degli aspetti originali di Nerone lo troviamo nella trasposizione delle idee sul lusso nella pratica, per esempio nell’allestimento di migliaia di statue nell’intero complesso della Domus Aurea (e di centinaia nel padiglione sull’Oppio), nell’ingrandimento delle misure di elementi più o meno consueti di una residenza dell’élite come l’enorme vestibolo ornato dal Colosso che recava il suo ritratto.82 E ciò si palesava ancora di più nell’applicazione su grande scala di marmi come arredo dei vari palazzi dei quali conosciamo solo i ‘Bagni di Livia’ ed il padiglione sull’Oppio. Non copiava semplicemente la tradizione ellenistica, sviluppata nell’Egitto tolemaico e fortemente amata da Nerone, ma cercava di creare un ambito nuovo che includesse contemporaneamente tutte le tradizioni. Se pensiamo all’esagerazione (con i parametri di noi moderni!) è facile criticare l’imperatore per questo, ma Nerone contemporaneamente ci offre il primo esempio di autorappresentazione illimitata, fin troppo banale nei secoli successivi fino ai principi e alle persone immodeste di epoche più recenti.
Recensione:
Eric Moormann, Nerone, Roma e la Domus Aurea. Conferenze, 33. Rome: Arbor Sapientiae, 2020. Pp. 94. ISBN 9788831341134. €25,00
Reviewed by Patrick Manuello, Liceo Classico A. Gramsci Olbia. patrick.manuello@gmail.com
La Domus Aurea non smette di suscitare stimoli per nuove ricerche, discussioni e scoperte. Oltre, infatti, al recente ritrovamento della "sala della Sfinge"[1], tra il 2019 e il 2020 sono stati pubblicati in Italia tre importanti lavori[2] che, seppure con modalità diverse, precisano e approfondiscono le nostre conoscenze sul monumento. Il volume di Eric Moormann, nato da una conferenza tenuta dall'autore nel Reale Istituto Olandese di Roma il 29 novembre del 2012, riprende in quattro capitoli di diversa estensione i risultati delle sue lunghe ricerche compiute insieme a Paul Meyboom[3] presentando un quadro di insieme della genesi della Domus Aurea neroniana con particolare attenzione al padiglione sul colle Oppio e alle sue decorazioni marmoree e pittoriche. Nell'Introduzione, in cui si accenna al disastro causato dall'incendio di Roma del 64 d.C. (forte an dolo principis secondo l'efficace quanto problematica sintesi tacitiana[4]) e alle sue evidenze archeologiche, si sottolinea come l'imperatore ben prima del tragico evento avesse intrapreso una serie di lavori (la Domus Transitoria[5]) volti a mettere in comunicazione i palazzi imperiali sul Palatino con gli Hortisull'Oppio e sull'Esquilino. La precisazione è doverosa, dal momento che rappresenta un punto forte a sostegno della difesa di Nerone dall'accusa di essere stato un folle incendiario.
Il primo esile capitolo contiene, in latino e in traduzione, il testo delle due fonti letterarie più importanti sulla Domus Aurea, ossia Svetonio (Nero 31.1-2) e Tacito (Annales 15.42). Risulta apprezzabile nell'ottica di una fruizione del volume anche da parte dei non antichisti l'aver riportato tali testi tradotti, dal momento che la loro conoscenza è fondamentale per poter seguire in maniera consapevole la parte successiva del libro, che sostanzialmente ne rappresenta il commento archeologico e artistico. Altri riferimenti alle fonti antiche vengono poi presentati nei successivi capitoli. Il secondo (“Nerone e la città”) inserisce l'attività edilizia di Nerone[6] nel contesto del regime imperiale impegnato da Augusto in poi a trovare un equilibrio tra la costruzione di edifici a carattere pubblico e complessi di rappresentanza privata e semipubblica. Significativi sono i riferimenti agli interventi nel Campo Marzio, in cui, ricollegandosi al principato di Augusto, e nello specifico ad Agrippa, Nerone fece costruire nei pressi del Pantheon le seconde terme pubbliche di Roma[7] e un ginnasio[8], segni evidenti di quel profondo legame con la cultura ellenica che sarà palese nel 67, quando in occasione del suo viaggio in Grecia l'imperatore arrivò a proclamare a Corinto la libertà delle città greche (IG VII 2713). I due edifici suddetti, manifestazione evidente di publica magnificentia, si contrappongono al complesso della Domus Aurea, opera colossale che rientra nella categoria di quella privata luxuria che Augusto per evidenti finalità politiche aveva cercato di contenere in vario modo. La celebre pasquinata tramandata da Svetonio (Nero 39: Roma domus fiet: Veios migrate, Quirites/ si non et Veios occupat ista domus) sarebbe da leggersi, secondo Moormann, non come riflesso di una ostilità verso l'imperatore da parte della plebe, ma piuttosto quale segno dell'insofferenza del ceto senatorio rispetto alla megalomania di Nerone.[9] Nel tal caso appare interessante il riferimento individuato nei Fasti di Ovidio (6.643-644): la lussuosa casa di Vedio Pollione, fatta abbattere per ragioni moralistiche[10] da Augusto e rimpiazzata dalla Porticus Liviae, viene descritta con toni iperbolici che sembrano anticipare le descrizioni prodigiose della Domus Aurea.[11]
Il terzo capitolo (“Componenti della Domus Aurea”) delinea l'articolazione del complesso evidenziandone la commistione di elementi che rimandano alla domus urbana (nella sua variante imperiale) e alla villa extraurbana. Rileggendo le fonti antiche si rileva infatti la presenza di boschi, vitigni, prati e bestiame, elementi che caratterizzano le ville rustiche e collocabili verosimilmente sull'Esquilino, sull'Oppio e su parti del Celio. La presenza poi di un lago instar maris, dove sorgerà il Colosseo, esprime non solo la volontà titanica (come la definisce Giardina[12]) di ricreare all'interno della città di Roma una sorta di microcosmo[13], ma anche il desiderio di indagare ed esplorare la natura secondo quell'interesse che è ben documentato a livello letterario nelle Quaestiones Naturales di Seneca. Come l'autore ha efficacemente scritto altrove, nell'organizzazione di tale spazio l'imperatore poteva combinare il negotium proprio di un uomo di stato con l'otium[14] suggellato poi da Svetonio (Nero 49) con le parole messe in bocca al sovrano morente "qualis artifex pereo". Nel capitolo si discute anche in maniera puntuale della questione assai dibattuta relativa alla collocazione della praecipua cenationum rotunda, ossia la sala da pranzo girevole di cui parla Svetonio nel passo già riportato nel primo capitolo.
Pur ammettendo l'esistenza di diverse cenationes – destinate ad un uso o pubblico o privato – Moormann condivide i risultati degli scavi francesi[15], che hanno portato alla luce nella Vigna Barberini sul Palatino una struttura rotonda in laterizio letta da Françoise Villedieu come sostruzione per la sala da pranzo girevole. In tal senso, dunque, ammettendo una bipartizione fra spazio pubblico (Palatino) e privato (padiglione sul colle Oppio) della Domus, si deve concludere che la struttura scoperta sul Palatino risponde meglio al carattere di ufficialità e di rappresentanza che sembra invece mancare alla famosa sala ottagona (124) dell'Oppio, tradizionalmente riconosciuta come la cenatio di cui parla Svetonio, proprio in virtù della sua collocazione in un'area secondaria e privata della Domus. Chiude il capitolo una disamina sul ninfeo neroniano lungo il pendio Nord-Est della punta occidentale del Celio e sulle fasi edilizie del tempio del divo Claudio (neroniana e flavia), sul cui basamento era appunto addossato il ninfeo.
Con il quarto capitolo (“Il padiglione sul colle Oppio”), il cui tema avrebbe meritato un posto nel titolo, si arriva al cuore del contributo. Dopo alcuni puntuali riferimenti alla struttura del padiglione, alle ragioni della sua conservazione (sostruzione per le terme di Traiano erette fra il 104 e il 109 d.C.) e ai brevi tempi di realizzazione (64-68 d.C.) grazie alla tecnica dell'opus caementicium, vengono descritti dettagliatamente gli elementi decorativi. In primo luogo il marmo, impiegato per il padiglione in maniera copiosa (quattro classi di decorazioni a seconda dell'estensione del marmo sulle pareti[16]) e poi asportato come elemento di rimpiego probabilmente per le decorazioni delle sovrastanti terme di Traiano. In secondo luogo le pitture parietali e delle volte combinate con l'uso dello stucco. Dall'analisi sistematica di ogni ambiente del padiglione si delinea l'organizzazione dei lavori e le botteghe dei pittori (botteghe A, B, C neroniane e tracce di una bottega postneroniana attiva forse in età flavia e da ricollegarsi a varie forme di riutilizzo della Domus Aurea antecedenti alla costruzione delle terme di Traiano) che operavano simultaneamente in precisi settori del padiglione (fig. 14 pag. 74). Si tratta di un approccio metodologico già applicato alle pitture di Pompei e di Efeso, ma che per la Domusneroniana appare più arduo da replicare a causa degli enormi danni che nel corso dei secoli hanno inesorabilmente alterato i reperti. Ad ogni modo, nell'insieme di queste pitture di IV stile la bottega A (ala Est e parti nella zona centrale e occidentale) ne ha prodotto il numero più consistente, presentando uno stile architettonico con sfondo bianco, mentre nell'uso del giallo, del rosso e del blu per le architetture si possono individuare dei confronti con Pompei. Tra gli esempi più illustri si annoverano la Sala di Achille a Sciro (119) e quella di Ettore ed Andromaca (129). La bottega B (intorno al cortile pentagonale 80 a) si contraddistingue invece per un uso particolarmente vivace, raffinato e ricco del colore che sembra rimandare ad esempi databili al periodo augusteo (Case di Livia ed Augusto sul Palatino; l'Aula Isiaca; la Villa della Farnesina). Ed è proprio in questa bottega e, in particolare, nella celeberrima "Volta Dorata" (sala 80) che potrebbe riconoscersi la mano del pittore Famulus, gravis ac severus idemque floridissimus secondo la nota definizione pliniana.[17] La bottega C (lati sud ed ovest del peristilio 20), dallo stile miniaturistico con sfondo a tinta unita (rosso o nero), rappresenterebbe una fase avanzata del IV stile rispetto alla quale possono essere identificati dei paralleli ad Ercolano (la Casa dei Cervi).
Se le decorazioni pittoriche superstiti non mostrano peculiari tratti di originalità rispetto ad altri siti archeologici romani noti, è in questa straordinaria fusione di marmi, pitture e stucchi che secondo l'autore l'arte neroniana raggiunge il suo culmine. Anche se Nerone si allontanò da Roma fra il 66 e il 67 in occasione del viaggio in Grecia (non potendo quindi seguire direttamente i lavori), quanto gli artisti e le botteghe seppero realizzare nel contesto di questo grandioso progetto architettonico fornisce un esempio paradigmatico di "autorappresentazione illimitata" (p. 68) del monarca che si traduce nella rielaborazione di elementi culturali diversi, soprattutto di quell'Egitto tolemaico che in vario modo influenzò l'imperatore anche in virtù della sua parentela con Marco Antonio.[18]
In conclusione, il lavoro di Moormann merita piena considerazione, dal momento che si presenta solido nei metodi, nella discussione delle fonti ed efficace nella discussione dei risultati della ricerca. L'unico aspetto negativo che mi sento di rilevare è la scarsa leggibilità, in termini di risoluzione grafica e legenda, di numerose figure (7-8-9-10-12-13-14) che invece sarebbero state fondamentali per seguire l'articolazione topografica della sintassi decorativa del padiglione sul Colle Oppio.
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[1] Il materiale si può consultare al sito Parco Archeologico del Colosseo, La Domus Transitoria.
[2] Oltre al contributo oggetto di questa recensione, vedi: V. Farinella, The Domus Aurea Book, Milano 2019; A. Russo et.al., Raffaello e la Domus Aurea, Milano 2020.
[3] P.G.P. Meyboom & E. M. Moormann, Le decorazioni dipinte e marmoree della Domus Aurea di Nerone a Roma I-II, Lovania, Parigi & Walpole (BaBesch Suppl. 20).
[4] Ann. 15.38.
[5] Parco Archeologico del Colosseo, La Domus Transitoria.
[6] Sull'argomento si veda E. M. Moormann, 'Some observations on Nero and the City of Rome', in L. De Blois et al (edd. ), The Representation and Perception of Roman Imperial Power, Amsterdam, 376-381.
[7] Esaltate da Marziale in 7.34.
[8] Per il legame fra le terme e i ginnasi alla greca si veda il recente contributo di Janet DeLaine, 'The Imperial Thermae', in C. Holleran, A. & Claridge (edd .), A Companion To The City Of Rome, Wiley-Blackwell, 2018, p. 334. Wiley Online Library, The Imperial “Thermae”, chapter 15.
[9] Effettivamente il testo presenta riferimenti storici e culturali di derivazione dotta. Oltre, infatti, all'allusione all'incendio gallico del 390 a. C. e alla proposta±fieramente contrastata da Camillo (Livio 5. 49 segg.)— di trasferire a Veio la comunità romana, si riscontra una possibile allusione a Verg. Buc. 9. 4 nell'espressione Veios migrate, Quirites. Tuttavia l'espressione svetoniana proscripta aut vulgata sunt in riferimento a questo genere di composizioni suggerirebbe in realtà un biasimo sociale allargato anche alla plebe.
[10] Pienamente presenti in Orazio ad esempio in Carm. 2. 14, nella cui chiusa efficacemente si contrappone la publica magnificentia degli antichi alla privata luxuria contemporanea.
[11] Si pensi, ad esempio, a Marziale (Spect. 2.3-4) in cui il poeta, pur celebrando l'anfiteatro flavio, non nasconde la maestosità del precedente complesso neroniano.
[12] A. Giardina, 'Nerone o dell'impossibile' in M. A. Tomei & R. Rea (edd.), Nerone. Catalogo della mostra, Milano 2011, p. 9.
[13] Su Roma quale "microcosm of the world", si veda Z. Newby, Greek Myths in Roman Art and Culture. Imagery, Values and Identity in Italy, 50 BC-AD 250, Cambridge 2016, p. 35.
[14] E. M. Moormann, 'Vivere come un uomo. L'uso dello spazio nella Domus Aurea', in M. Cima & E. La Rocca (edd.), Horti romani, Atti del Convegno Internazionale Roma, 4-6 maggio1995, Roma, p. 361.
[15] Della stessa idea già F. Coarelli in Palatium. Il Palatino dalle origini all'impero, Roma 2012, p. 504. Di diverso parere Carandini che colloca la cenatio nel palazzo compreso fra il vestibulum e lo stagnum. Cfr. A. Carandini, Le case del potere nell'antica Roma, Roma 2010, pp. 319-322.
[16] Si veda p. 37 per i criteri della classificazione.
[17] Naturalis Historia 35.120.
[18] Su questo tema cfr. F. Di Matteo, Villa di Nerone a Subiaco. Il complesso dei Simbruina Stagna, Roma 2005, pp. 141-168. Giova ricordare che prima di Nerone Caligola, anch'egli imparentato con Antonio, era stato influenzato dall'oriente ellenistico.