Le navi ritrovate. I testi e le immagini del recupero delle navi romane di Nemi - a cura di Domenico Lini e Nora Lombardini

di Guido Ucelli

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    Descrizione:

    Un diario puntuale e riccamente illustrato dei lavori, dei problemi e dei risultati di un'avventura senza precedenti nella storia dell'archeologia.
    .Formato Brossura

    .Milano 2011. 96 pp.

    Attorno al lago di Nemi il culto di Diana è sempre stato vivo sino dalla protostoria di Roma, con numerosissime intersecazioni culturali: storia, miti e leggende. La stessa etimologia di nemus, che secondo Virgilio significa “bosco sacro”, rimanda al suo culto nei pressi di Ariccia. Esisteva un tempio dedicato a Diana, che insieme a quello di Giove, sui Monti Albani, era il centro religioso della Lega Latina; Diana era venerata anche con il titolo di Taurica, culto forse introdotto da Oreste e legato a rituali cruenti e al celebre ramoscello d’oro che nella simbologia dell’autorigenerazione si sarebbe perpetuato nella storia della letteratura. Diana inoltre era chiamata sia Trivia, in quanto proteggeva i viandanti negli incroci a tre vie, sia Ecate, una divinità degli Inferi. Accanto alle tante feste religiose in onore della dea, in questi luoghi si potevano anche trovare le suntuose ville di scrittori e politici, da Cicerone a Orazio, da Cesare ad Augusto e agli imperatori del II secolo: tutti alla ricerca dell’otium letterario o esistenziale. Un mondo vibrante di cultura e storia, dove al tempo di Gaio Giulio Cesare Germanico, detto Caligola, si assiste a un felicissimo connubio tra scienza, tecnica e tradizione.
    Caligola, con un’ostentazione esagerata, ma servendosi di particolari tecniche ingegneristiche, decise di costruire due grandiose navi presso il lago di Nemi, su chiglie a fondo piatto, di circa 70 metri per 20 di larghezza ciascuna. Sulla prima progettò un tempio colonnato dedicato a Diana, o forse a Iside, sull’altra uno sfarzoso palazzo, con tetti dorati, decorazioni, marmi preziosi, arredi pregiati, bronzi finemente cesellati. Il ritratto di questo imperatore, nelle pagine fin troppo severe di Tacito e di Svetonio, nelle intemperanti stranezze della vita e negli eccessi delle architetture lussuose o della naumachia, fu segnato alla sua morte violenta dalla damnatio memoriae; di conseguenza anche le navi vennero affondate.
    Il primo che intuì l’importanza e la ricchezza di questi reperti fu Leon Battista Alberti, nel 1446. Il suo modesto recupero archeologico, come i numerosi che seguirono nei secoli successivi, sempre da parte di privati, furono tutti improntati a specifiche mire venali, con il risultato di creare danni irreparabili alle navi. Diverso fu l’intervento sostenuto dal governo italiano nel 1929, quando l’ingegnere Guido Ucelli utilizzando l’emissario del lago di Nemi, risalente all’età romana, abbassò il livello lacustre con delle pompe idrovore espressamente costruite dalla Riva e fece così affiorare la prima nave. Per la seconda si sarebbe dovuto attendere il 1932 per l’interporsi di ostacoli di natura politica. L’impresa si concluse nel 1939 con l’originale realizzazione di un museo che celebrava l’antica civiltà attraverso la valorizzazione del suo sapere scientifico e tecnologico. Un modello che avrebbe avuto echi nella realizzazione del Museo nazionale della tecnica e dell’industria a Milano. Purtroppo il museo di Nemi andò completamente distrutto in un incendio, forse doloso, nel 1944. Nel 1988 è stato comunque riaperto, con la riproduzione ridotta delle due navi che erano state bruciate: una copia che comunque rimane un unicum, vista l’esiguità dei reperti archeologici navali che ci sono giunti dal passato.
    La scoperta di questo capitolo di storia romana attraverso il filtro della scienza e tecnologia, ai tempidi Roma e negli Anni Venti è il contenuto di un recente volume, curato da Domenico Lini e Nora Lombardini, che, a firma dello stesso Ucelli, illustra il resoconto di tutta l’impresa, riguardante l’emissario del lago, il recupero delle navi, la valutazione dei materiali e dei manufatti, con il corredo di numerose fotografie d’epoca. I documenti consentono così di esplorare sia la bellezza dei reperti decorativi, sia di scoprire le avanzate procedure di costruzione e impermeabilizzazione delle navi, l’intuizione nell’utilizzo di materiali e leghe, la priorità nell’utilizzo di attrezzi (in specie le ancore), la capacità di risolvere problemi nautici e idraulici con ingegnosi sistemi costruttivi e raffinati processi tecnologici.
    Guido Ucelli è un ingegnere che seppe coniugare professionalità e cultura umanista. Il suo è stato un approccio olistico che utilizza il sapere scientifico e la tecnologia, per valorizzare il reperto archeologico e interpretarlo quale segno di cultura e di storia. Tutto ciò va ben oltre, naturalmente, il mero valore venale. Rimanda alla necessità di un’idonea legislazione e di adeguate strutture museali indirizzate alla tutela, conservazione, valorizzazione di un bene pubblico: problemi per i quali Ucelli ha sempre combattuto.
    Giampaolo Pignatari