Conferenza: La fine del mondo, il mo(n)do della fine. Univ. di Siena 11-12 Marzo 2021

10 marzo 2021 - ore 12,05
  • locandina_la_fine_del_mondo_il_mondo_della_fine.jpgLA FINE DEL MONDO, IL MO(N)DO DELLA FINE
    Università di Siena
    Dottorato in Filologia e Critica delle Letterature Antiche e Moderne Convegno dottorale
    11-12 marzo 2021


    unisi.webex.com/meet/fine_unisi2021
      

    Ginevra LATINI
    (Università per Stranieri di Siena)
    Echi lucreziani e ovidiani nella nascita edistruzione dei mondi di Italo Calvino


    «Due antinomici terrori governano l’epoca in cui viviamo: quello di “perdere il mondo” e quello di “essere perduti nel mondo”».(E. De Martino)

    Nonostante il dibattito, reso popolare da Francis Fukuyama, sulla cosiddetta «fine della storia» si sia ormai esaurito, la riflessione sulla fine del mondo e sulla sua rappresentazione è lontana dall’essere inattuale nel mondo occidentale. Nel mondo moderno e contemporaneo l’idea della fine è stata così intensamente pervasiva, da un lato, per le atrocità senza precedenti che hanno caratterizzato il cosiddetto secolo breve e il nuovo millennio e, dall’altro, per l’importanza – sempre maggiore – assunta dal discorso ecologico dall’Ottocento ai giorni nostri.

    La catastrofe (naturale, ecologica, tecnologica) e la crisi (intellettuale, personale, psicologica) sono argomenti di interesse universale, dal momento che, pur differendo l’una dall’altra per la posizione da cui riescono a interferire con la vita umana (esterna la prima, interna la seconda), esse costituiscono i due fenomeni in grado di sconvolgere l’ordine presente/passato/futuro con cui gli individui provano a dare senso all’esistenza.

    Prima di Fukuyama, studiosi come Ernesto De Martino e Frank Kermode hanno rivolto la propria attenzione all’evoluzione storica delle idee di Apocalisse e di Fine, rilevando i mutamenti di queste idee dal pensiero giudaico-cristiano al pensiero moderno, e sulle loro trattazioni letterarie, individuando i modi in cui è stata declinata a partire dai testi biblici e i moduli espressivi attraverso i quali è stata affrontata. Il volume La fine del mondo, che raccoglie le ultime riflessioni di Ernesto de Martino, analizza il mutamento avvenuto nell’Occidente contemporaneo a proposito della concezione della fine, che infatti non risulterebbe più accostabile a una possibilità di redenzione:

    Nella vita religiosa dell’umanità il tema della fine del mondo appare in un contesto variamente escatologico, cioè come annunzio di un definitivo riscatto dei mali inerenti alla esistenza mondana: si pensi alla ottuplice via del Budda per attingere la beatitudine del nirvana, al piano della storia della salvezza della tradizione giudaico-cristiana, ai millenarismi di cui è disseminata la storia dell’occidente, ai movimenti escatologici dei popoli cosiddetti primitivi nei secoli XIX e XX. L’attuale congiuntura culturale dell’occidente conosce invece il tema della fine al di fuori di ogni orizzonte religioso di salvezza, e cioè come nuda e disperata presa di coscienza del mondano “finire”.

    Non dissimile è la posizione di Frank Kermode (1966), per cui il rapporto dell’epoca moderna con la fine sarebbe contraddistinto da un senso di immanenza e non di imminenza:

    Non più imminente, la Fine è immanente. Cosicché, non è più soltanto il tempo che verrà ad avere significato escatologico, ma l’intera storia e l’arco della vita individuale: dipendono da una Fine che è, ora, immanente.

    Da sempre presente nell’immaginario collettivo, il tema della fine può articolarsi in molti modi. Da un lato abbiamo le interpretazioni letterali del topos, dal rischio della distruzione fisica del pianeta o dell’universo (come in The Gods Themselves di Isaac Asimov) alla scomparsa dell’umanità (come in The Last Man di Mary Shelley, The Road di Cormac McCarthy, La possibilité d’une île di Michel Houellebecq, Dissipatio H.G. di Guido Morselli, Oryx and Crake di Margaret Atwood, ecc.) o di altre forme di vita (come in Bambini bonsai di Paolo Zanotti o Do Androids Dream of Electric Sheep? di Philip K. Dick). Dall’altro lato troviamo rappresentazioni della fine di un mondo specifico(piscologico, culturale, sociale), ovvero opere incentrate su un drastico cambiamento epistemologico, spesso marcato da eventi storici traumatici; emblematici in questo senso sono i testi dedicati alla finis Austriae (Stefan Zweig, Joseph Roth) o allo «shock» benjaminiano per l’avvento della Modernità (per esempio, Die Schlafwandler di Hermann Broch, in cui la fine di un mondo condiviso – la Germania wilhelmina – in favore dell’affermarsi dell’individualismo viene scandita in tre fasi culminanti con la Prima Guerra Mondiale; o La coscienza di Zeno di Italo Svevo, in cui la fine del mondo è immaginata, e quasi desiderata, come eutanasia di un mondo segnato dell’assurdità del conflitto bellico e dell’assenza di prospettive future per un mondo sovrappopolato e inquinato). Posizioni di centralità e una certa problematizzazione del concetto di apocalisse si hanno, ad esempio, anche nella narrativa e nella poesia russa di fine Ottocento e inizio Novecento: nella cosiddetta età d’argento autori come Blok, Solov’ëv, Belyj, Ivanov, e altri, avvertono in modo sempre più forte l’approssimarsi della fine, di cui la Rivoluzione bolscevica del 1917 fu la manifestazione più evidente e sentita.

    Tra i testi che discutono della fine di un/del mondo non può essere esclusa la letteratura distopica, che ha conosciuto – dalla saga The Hunger Games di Suzanne Collins a The Handmaid’s Tale di Margaret Atwood – un ulteriore sviluppo, anche in senso eco-critico e femminista.
    Dal momento che ogni opera si colloca diversamente tra il polo della catastrofe (naturale, tecnica, storica) e il polo della crisi individuale, le direzioni sviluppate da quelle opere letterarie che cercano di dare forma al problema di cosa sia un/il mondo, di come questo mondo finisca e della forma in cui si sopravvive alla sua fine si presentano come variegate: in quanto tali meritano di essere analizzate e discusse.

    In quale rapporto si trovano le opere letterarie rispetto all’idea di fine? La letteratura dell’epoca moderna è davvero incapace di immaginare una redenzione? Vi sono generi e stili che si prestano maggiormente, e in maniera più funzionale di altri, a questo tipo di trattazione? Quali sono le specificità e le particolarità della narrazione letteraria sulla fine? In considerazione della vastità dell’argomento, che permette di focalizzare produttivamente l’attenzione sui soli prodotti letterari, questo convegno dottorale ha come obiettivo l’apertura di un dialogo su come le opere di narrativa e di poesia occidentali dal XIX secolo a oggi hanno saputo descrivere cosa avviene prima, durante e dopo una/la fine, e su come abbiano proiettato il tema della fine sui piani dell’esperienza umana e della storia, offrendo in merito a tale argomento diverse prospettive interpretative.


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