Archeologia e antropologia della morte: 2. Corpi, relazioni e azioni: il paesaggio del rito - Valentino Nizzo (a cura di)

a cura di Valentino Nizzo

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    Descrizione:

     Atti del III Incontro Internazionale di Studi di Antropologia e Archeologia a confronto [Roma, Ecole francaise de Rome – Stadio di Domiziano, 20-22 Maggio 2015]


    In 8°, bross. filorefe, pp. 824.


    La morte è l’unica esperienza della vita che coinvolge ineluttabilmente tutti ma che tutti possono conoscere solo attraverso l’esperienza degli altri, come ha colto efficacemente Pirandello: «I vivi credono di piangere i loro morti e invece piangono una loro morte, una loro realtà che non è più nel sentimento di quelli che se ne sono andati». L’antropologia ha codificato nella forma concettuale del rito di passaggio quanto gli antichi avevano già esemplificato attraverso la metafora del viaggio e della transizione. I momenti e gli atti che ruotano intorno alla morte, per la sua condizione di assoluta liminarità, costituiscono dunque il fulcro di un’esperienza collettiva e il tramite necessario per il superamento di quella soglia (limes) che ci permette di transitare da una condizione che non è più a una nuova dimensione, variamente concepita da cultura a cultura. In questo senso la morte è per eccellenza la metafora del confine; di un “limite†che, paradossalmente, viene raggiunto solo nel momento in cui non siamo più e, dunque, non possiamo più raccontarlo. E, in quanto tale, un confine contribuisce a codificare e rafforzare – fittiziamente – l’“identità†delle realtà che vivono ai suoi margini. Anche per questo, la morte può contribuire a definire l’idea e la percezione dell’“identità†che ciascuno di “noi†(singolarmente e/o collettivamente) si attribuisce, poiché è il culmine – naturale o meno – di un’esistenza e, al tempo stesso, l’atto estremo dell’esperienza terrena. È l’unica storia che non possiamo raccontare ma è anche quella attraverso la quale gli altri possono raccontare noi stessi o la percezione che, pirandellianamente, essi hanno avuto della nostra “realtà†o, meglio, di se stessi attraverso la nostra “realtàâ€. Ma la morte, ovviamente, è anche un atto biologico, nel corso del quale il cadavere subisce una metamorfosi che lo fa transitare dalla dimensione corporea a quella minerale, tornando materia, in un processo che può essere alterato casualmente e/o intenzionalmente dalla natura e dalla cultura, dando luogo a pratiche rituali e/o culturali di ricodifica simbolica della nostra essenza terrena, anch’esse variabili da società a società in relazione alla percezione che ciascuna di esse può avere della dialettica tra vita e morte e tra morte e ciò che si suppone ne segua. La terza edizione del convegno di Antropologia e Archeologia a Confronto ha inteso affrontare queste complesse problematiche, cercando di offrire una panoramica dei più fruttuosi approcci teoretici e delle più aggiornate metodologie d’indagine messe in campo dall’antropologia culturale, dall’archeologia, dalla bioarcheologia e dall’archeotanatologia per cogliere l’essenza di questa frontiera; per decrittare il linguaggio di gesti, segni, sentimenti, riti, paure ed emozioni che contribuiscono a definirla; come sempre con l’ambizione gianiforme di guardare al passato per cogliere l’essenza del nostro presente.

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