Vulcano. Introduzione alla storia e all’ archeologia dell’ antica Hiera - Vittorio Giustolisi

di Vittorio Giustolisi

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    Mm. 170X245; pagine 256, con 201 figure nel testo.

    "Vulcano. Introduzione alla storia e all' archeologia dell' antica Hiera" di Vittorio Giustolisi Il rilevamento e lo studio delle grotte artificiali disseminate a Vulcano nell' arcipelago delle Eolie ha offerto a V. Giustolisi l'occasione per riflettere sul più antico passato dell'isola. Denominata "sacra" tanto dai greci che dai romani, secondo lo studioso l'isola ricevette tale attributo non solo per lo stretto riferimento al dio Efesto che in essa aveva le sue fucine, ma anche per il carattere di isola "funebre" che avrebbe assunto nella tradizione indigena, visto che le grotte artificiali erano sepolture preistoriche, seppure in gran parte riutilizzate posteriormente sia come tombe che come rudimentali abitazioni. La scelta di seppellire i propri morti a Vulcano agli abitanti dell'antica Lipari deve essere stata ispirata verosimilmente dalla numinosa immagine del cratere costantemente attivo, il quale rappresentava anche un condotto per il mondo sotterraneo dei morti, visione questa che si accentuò nei secoli del\' Alto Medioevo quando le anime di famosi personaggi. come ad esempio quella di Teodorico, furono viste mentre entravano nella sua bocca sospinte dalle loro gravi colpe. Tale orientamento fu però anche dettato dalla massiccia presenza di tufi e depositi piroclastici che consentivano una facile escavazione di tombe in grotta, così come era generale costume durante tutta la preistoria mediterranea. Influì anche l'intensa attività fumarolica che sempre secondo Giustolisi, deve essere stata strettamente legata al culto di divinità ctonie, in particolare con quello dei Palici. Fu quindi tale connotazione il presupposto ideologico che in età cristiana portò a localizzare in Vulcano l'accesso per l'inferno, ma anche la sede del purgatorio, visto che santi eremiti testimoniarono la presenza in essa di anime purganti che le preghiere dei vivi potevano ancora salvare. In tali tradizioni Giustolisi riconosce un vero e proprio culto degli antenati che si collegava con quello di una divinità dei morti, la quale in origine sarebbe stata una dea di stampo neolitico e successivamente, con l'arrivo di stirpi protogreche dall'Oriente, un dio, verosimilmente la figura stessa del sovrano eroizzato, cioè l'Eolo-Efesto della tradizione omerica. I venti sui quali questi presiedeva altro non erano infatti, secondo una ormai accettata ipotesi antropologica, che le stesse anime dei trapassati. Nonostante tale sostituzione la divinità femminile non perderà però le sue prerogative: la vediamo riemergere infatti potente, assimilata ad Afrodite, nel culto della ninfa Meligunis, la stessa che diede il primo nome alla colonia greca. La storia religiosa di Vulcano si intreccia con quella dei suoi aspetti vulcanologici e alle connesse risorse minerarie. L'allume e lo zolfo che in essa si producevano furono infatti minerali largamente richiesti nel mondo antico, la causa di vere e proprie spedizioni commerciali, specialmente durante la preistoria. Lo zolfo, secondo un'ipotesi di Giustolisi, sarebbe sopratutto servito nel processo della fusione del bronzo, avendo esso l'effetto di eliminare l'eccesso di metallo che inevitabilmente si creava tra i componenti della lega, non conoscendo ancora gli antichi le precise proporzioni da adottare. La disamina religiosa mette in evidenza il culto di Cibele sin dagli inizi della colonia greca. Il simbolo del leone nel cosiddetto bothros di Eolo sarebbe infatti secondo Giustolisi un emblema della dea frigia. Una serie di interessanti confronti fa comprendere poi il processo sincretistico attraverso cui da Eolo, Crono, Dionisio e Marsia si giunge all'affermazione del culto di San Bartolomeo. Una precisazione di carattere topografico ha come conseguenza l'ammissione della consistenza di una Lipari bizantina finora negata dagli archeologi. La presentazione di alcuni sigilli di piombo provenienti dall'acropoli di Lipari in un articolo di Luigi Bemabò Brea, pubblicato in appendice, conferma in pieno tale ipotesi. Una scoperta sensazionale sarebbe infine l'individuazione della cripta dell'antica chiesa di San Bartolomeo a Lipari, dove sarebbe stato portato il corpo dell'apostolo miracolosamente giunto per mare. Tale cripta, sempre secondo Giustolisi, sarebbe stata ricavata da un preesistente ipogeo preistorico del tipo di già riscontrato a Vulcano, ma presente anche a Palma di Maiorca e che viene ascritto alla media età del bronzo. Il testo di Giustolisi è denso di spunti di vario tipo per riconsiderazioni che certamente andrebbero fatte partendo dal presupposto che una viva tradizione indigena urge ancora al di sotto di una facies apparentemente del tutto ellenizzata. Un'analisi tipo logica delle strutture artificiali di Vulcano permette all'autore, soprattutto, di distinguere una serie di fasi culturali (che dal neolitico approdano all'età storica) caratterizzate da influssi che chiamano in causa Malta, la Sicilia, la Sardegna e le Baleari, oltre che il mondo greco. In un'altra appendice vengono presentati reperti inediti che sarebbero stati rinvenuti a Vulcano nel secolo scorso e trasportati in Inghilterra dagli Stevenson, allora proprietari dell'isola. Confluiti in parte all'Ashmolean Museum di Oxford, M. Vickers e D. Gill ne hanno curato il catalogo. Il libro è corredato da un ricco apparato iconografico. Vengono riprodotte antiche piante e vedute dell'isola ed una serie di rare fotografie del secolo scorso e degli inizi del secolo attuale, che mostrano una Vulcano primordiale avvolta ancora nello splendore della sua selvaggia verginità.