Atlante delle antiche strutture rupestri dell'isola di Vulcano. Vol. 2 - Vittorio Giustolisi

di Vittorio Giustolisi

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    Descrizione:

    VoI. II Palermo, 1995 Mm. 300X21O; pagine 54, con 229 figure nel testo e 2 tavole fuori testo.

    Atlante delle antiche strutture rupestri dell'Isola di Vulcano Voll. II di Vittorio Giustolisi Eolia, la mitica isola descritta da Omero, sede di Eolo re dei venti, galleggiante, dalle alte e ripide scogliere e circondata tutto intorno da un muro di bronzo, proprio per tali caratteristiche che alludono all'effetto ottico prodotto dai banchi di pomice fluttuanti intorno alle rive e al colore metallico delle lavedei ripidi crateri, è stata riconosciuta in passato ora a Vulcano, ora a Stromboli, più raramente a Lipari. Ad accrescere tale identificazione certamente hanno influito le grandi masse d'aria violentemente espulse dai crateri in occasione di varie eruzioni e per quanto riguarda Vulcano, la presenza di numerose grotte dalle quali, provenienti dal ventre della terra, i venti fuori uscivano. Pozzi di un al di là sotterraneo i crateri erano cunicoli da cui risalivano i venti, che nella diffusa credenza degli antichi erano tutt'uno con le anime dei trapassati. Oggetto di culto quindi i vulcani e le manifestazioni collegate, che nell'immaginazione primitiva mediterranea venivano messi in relazione con una delle realtà più intime della grande madre Terra: il Fuoco, fonte di ogni energia e simbolo universale di luce. "Il fuoco che la terra custodisce nelle sue viscere e che si rivela all'aperto in fiumane incandescenti, in bagliori di fiamme, in fontane di acque bollenti, veniva naturalmente pensato come raccolto e diviso in immense riserve, in ricettacoli profondi e misteriosi, in gigantesche fornaci, dentro cui la ruota o il disco restavano immersi la notte a ricaricarsi di calore e di luce. E come la ruota o il disco solari, così erano originariamente usciti dagli infuocati uteri terrestri anche la luna e le stelle..." (D. Pestalozza). Da questa visione nasce l'uso di approssimare i corpi dei propri defunti quanto più possibile agli imbocchi di tale grande riserva di vita, nella confusa speranza di una sorta di rinascita, ma per facilitare anche l'incontro continuo dell'anima del defunto con il suo proprio corpo, nel segreto della tomba. Come per i vulcani, le stesse credenze erano diffuse per le sorgenti (specie quelle termali), essendo l'acqua, che scaturisce dalle profondità della terra, il simbolo stesso della rigenerazione e della reintegrazione della vita. Le numerose grotte di Vulcano, quasi tutte artificiali, erano delle tombe, alcune del tipo a grotticella artificiale (a deposizione collettiva), assumenti alle volte la sagoma di un utero, altre del tipo "a forno" dell'età del bronzo. E questo un aspetto archeologico del tutto inedito ed estremamente significativo che chiarisce i presupposti religiosi dell'isola, che in età storica sarà chiamata Hierà, cioè "la sacra", e che contribuisce in maniera sostanziale al riconoscimento di Eolia a Vulcano, dove Eolo ci appare finalmente nella sua vera luce di dio dei morti, regnante in una delle sue grotte, così come Virgilio lo presenta, in un passo dell'Eneide (l,52-53). La connotazione infera dell'isola continuò nei secoli, giungendo fino a noi nella visione cristiana che la riproduce nell'immagine di una vera e propria porta dell'Inferno. Il racconto dell'anima di Teodorico, re dei Goti, precipitata nella bocca del cratere di Vulcano, è quasi un emblema coniato dalla fantasia eremitica del luogo nella tarda Antichità. Le grotte di Vulcano interamente rilevate ci fanno scoprire il loro uso tombale, ma anche, anzi il più delle volte, il loro riuso a partire dalla tarda Antichità, quando le cavità esistenti, attraverso opportune manipolazioni ed adattamenti furono trasformate in abituri dagli abitanti del luogo, secondo una pratica ampiamente documentata nel territorio siciliano e nord-africano. Sorsero così alcuni piccoli agglomerati trogloditici di pastori e contadini (alcuni dei quali, come le Grotte dei Rossi, di suggestiva bellezza), quasi tutti attestati nella zona alta dell'isola nota come "il Piano", ma anche nella zona dell'approdo, alle pendici del Faraglione di Levante, dove probabilmente trovarono dimora gli addetti all' estrazione e alla lavorazione di un'antica cava di ali urne. Altre grotte isolate, sempre nelle zone alte dell'isola, potrebbero essere appartenute ai monaci eremiti della cui presenza rimane qualche traccia nella toponomastica e nelle antiche leggende locali. Il trogloditismo tra la tarda Antichità e il Medioevo è un fenomeno molto diffuso nella storia del popolamento del Mediterraneo. In Sicilia esso è uniformemente attestato senza specifiche connotazioni culturali, ma con adattamenti di tipo funzionale alle caratteristiche ambientali. I nomi arabi dei proprietari di grotte in età normanna, suggeriscono nei documenti del1' epoca un largo uso dell 'insediamento trogloditico già in epoca islamica. A loro volta le cronache arabe della conquista, che parlano del saccheggio di una serie di grotte nel IX secolo, danno per scontato la diffusione del fenomeno in età bizantina. Il trogloditismo di Vulcano potrebbe addirittura avere avuto inizio nella tarda Antichità come riutilizzazione del preesistente, a somiglianza di quanto è avvenuto negli "uydian" libici, i quali sembra siano sorti, in seguito al progressivo inaridimento delle campagne, nelle depressioni carsiche, dove cioè si concentravano le risorse idriche e la vegetazione e per l'opportunità offerta, in tali luoghi, da preesistenti tombe a camera e grotte naturali. Tale datazione per Vulcano è suggerita dall'aspetto davvero rudimentale di talune strutture. Per l'assenza di depositi stratificati, comune del resto a tutte le abitazioni rupestri e dovuta alla nota abitudine di ripulire gli ambienti, non è possibile infatti fare ricorso al dato più preciso che viene offerto dalla classificazione dei materiali. L' "Atlante" si compone di due volumi, ciascuno corredato da numerose fotografie molte delle quali degli inizi del secolo e rilievi grafici. Nel primo volume, dedicato al Faraglione di Levante, sono contenuti i rilievi delle antiche cave di allume e delle grotte artificiali adiacenti. Alla documentazione degli aspetti rupestri del Faraglione di Levante è premessa la storia dell'evoluzione geologica dell'intera isola, oltre che quella dei fenomeni vulcanici correlati. Il secondo volume è rivolto invece alle grotte scavate nei tufi e nei lapilli del "piano" e di altre zone alte dell'isola. La delineazione delle strutture preistoriche, spesso modificate, ma a volte anche del tutto cancellate dagli insediamenti trogloditici che le hanno riutilizzate, costituisce l'aspetto precipuo e forse il più stimolante dell'indagine per le prospettive culturali che esso apre sulla più antica religiosità delle isole Eolie.