L’iconografia medievale della Sibilla tiburtina - Arianna Pascucci

di Arianna Pascucci

invia la pagina per emailcondividi su Facebookcondividi su Twitter
  • Prezzo: € 0.00
    Aggiungi Carrello

    Descrizione:

     Servizio reperimento titoli non in commercio disponibile on-line open access

    Collana Contributi alla conoscenza del patrimonio tiburtino.

    Publication Tivoli : Liceo Ginnasio Statale Amedeo di Savoia, c2011.
    Description 80 p. : ill. (chiefly col.) ; 30 cm.


    Albunea è la figura pagana che è presente nel pantheon tiburtino con importanza inferiore soltanto ad Ercole, protettore della città, cui fu dedicato l’immenso Santuario alle falde dell’antica Tibur. Inizialmente Albunea doveva essere una ninfa delle acque con caratteri profetici, tanto da essere inserita poi nel novero delle Sibille, come Sibilla Tiburtina, ricordata da molti fonte letterarie, mentre un’importante testimonianza epigrafica parla esplicitamente di un sacerdos Albuneae (CIL XIV 4262), superando nel ricordo, a partire dalla tarda antichità e continuando nel Medioevo, tutte le antiche divinità locali. Il nome di Sibilla sarebbe stato poi conservato dagli antichi abitanti al Tempio rotondo sull’acropoli, prima che Andrea Palladio lo canonizzasse nel 1539 e per i secoli a venire come Tempio di Vesta, proprio per la sua forma circolare, simile al Tempio di Vesta presso la Bocca della Verità a Roma. L’autorità del Palladio fece passare in seconda linea la testimonianza negli stessi anni di Pirro Ligorio, l’architetto di Ippolito II d’Este, che intuì subito l’importanza di Albunea, ricordata dalla spuma dell’acqua che “rompendosi da le cadute e balzi che fa diventa tutta bianca” (Codice di Napoli, vol. 9, f. 18v), dimostrando notevole acume nel non identificare Albunea con Aquae Albulae, errore in cui caddero nei secoli successivi molti commentatori più superficiali