Il mito di Fetonte e Quinto Sulpicio Massimo, il poeta fanciullo di Porta Salaria

29 dicembre 2017 - ore 11,25
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    Recensione del libro 
    QUINTUS SULPICIUS MAXIMUS. Il sepolcro del poeta fanciullo presso la necropoli di Porta Salaria a Roma
    Maria Elisa Garcia Barraco, Emiliano Ventura, Ilaria Soda 
    Arbor Sapientiae Editore - Roma, 2017
    ISBN: 978-88-94820-36-2



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    Quinto Sulpicio Massimo, morto a soli 11 anni, è il bambino prodigio che nel 94 d.C. aveva partecipato brillantemente alla terza edizione del Certamen capitolino[1], concorso estemporaneo di poesia greca, gareggiando con cinquantadue poeti e incantando la platea con la sua bravura e le sue composizioni.

    La sua incredibile storia riemerge dall'oblio intorno al 1871 quando all'interno della Porta Salaria, in via di demolizione per motivi di viabilità, viene alla luce questo monumento raffinato e capace di raccontarci le vicende di quel bambino-poeta e dei suoi genitori.

    Sappiamo che il fanciullo, indebolito e ammalato per il troppo studio e l’esagerato amore per la poesia, si ammala e muore troppo presto.

    Nel tredicesimo anno del regno dell’imperatore Domiziano si tiene il terzo agone capitolino, un giovane romano di undici anni, Quinto Sulpicio Massimo, vuole partecipare al certame poetico, ha studiato bene il greco, è amante della poesia e compone ottimi versi.

    Il padre Quinto Sulpicio Eugramo e la madre Licinia Ianuaria, assecondano il suo desiderio: Sulpicio Massimo è tra i cinquantadue poeti che sosterranno l’agone.

    I giochi ginnici ed equestri dell’agone capitolino si tengono nello Stadio di Domiziano, (oggi Piazza Navona) mentre gli agoni musicali e poetici nell'adiacente Odeon, il teatro con novanta colonne che l’imperatore ha fatto costruire vicino al suo stadio.


    Massimo si è preparato a lungo per sostenere l’agone, ha provato molte volte a comporre versi improvvisando, tiene molto a questa gara e vorrebbe tanto chinare la testa per raccogliere la corona d’alloro intrecciata con nastri dalle mani dell’imperatore in persona.

    Non sarà un’impresa da poco, tra i cinquantadue iscritti c’è anche il poeta Stazio, il vincitore di tre corone agli agoni di Albano.

    Le cavee del teatro sono piene, quasi diecimila romani sono gli spettatori davanti ai quali si esibiscono i poeti; ci sono i giudici, i senatori e i sacerdoti, c’è l’imperatore vestito alla maniera orientale; tra il pubblico ci sono anche Quinto Sulpicio Eugramo e Licina Ianuaria, la madre e il padre del più giovane poeta del terzo agone capitolino.

    I giudici chiamano gli agonisti uno ad uno, arriva anche il turno di Quinto Sulpicio Massimo, nei brevi momenti che intercorrono tra la chiamata e la definizione del tema della gara, Quinto ripensa ai giorni di studio, alle lezioni di retorica e composizione, a Virgilio che arrossisce in pubblico e al poeta dei poeti, Omero.

    Un po’ pallido, provato dalla lunga preparazione, respira e senza guardare la folla aspetta che gli venga dato il tema su cui improvvisare i versi:

    « Come Giove abbia ripreso Apollo per aver lasciato il carro del sole a Fetonte ».

    Quinto improvvisa i suoi quaranta versi in greco, tutti rimango stupiti per le delicate immagini che il fanciullo riesce a condensare e a riportare nel suo componimento poetico. Tutti sono in ascolto, i senatori, i giudici, il sacerdote di Giove e i Flaviani, l’imperatore Domiziano, il pubblico lungo le cavee dell’Odeon e tra loro Eugramo e Licina, i suoi genitori.

    Alla fine dell’improvvisazione la platea è concorde nel riconoscere merito ed onore al fanciullo, il pubblico approva vociando e agitando palme e rametti, i giudici hanno cenni di apprezzamento e anche l’imperatore esprime ammirazione;

    Massimo, che non è un gladiatore né un generale, ha stupito Roma con i suoi versi e la sua poesia.

    Non sappiamo chi sia stato il vincitore della corona di poesia del terzo agone capitolino, Stazio non è tra questi, la leggenda vuole che per l’amarezza della sconfitta abbia lasciato Roma.

    Quinti Sulpicio Massimo si è coperto di onore, più del vincitore della corona che non ricorda nessuno, Roma intera sussurra il nome di un bambino che forse supererà Virgilio.

    Pochi giorni dopo, per via del troppo studio, Massimo si ammala e muore, lasciando i genitori distrutti dal dolore. È la fine estate del 94 d.c.

    Ma chi ha avuto il coraggio di affrontare, così giovane, i maggiori poeti di Roma, non può che splendere di gloria. Viene eretto un piccolo monumento funebre che lo ritrae mentre recita i versi, è ancora visibile a Roma vicino Piazza Fiume.


    Recensione con filamto